mercoledì 31 agosto 2016

Legge 104/92: trasferimento sede di lavoro, provvedimento valido anche dopo il decesso del familiare disabile

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Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Terza, con sentenza n. 1609 del 26 Agosto, ha annullato il provvedimento di revoca del trasferimento di un agente di polizia penitenziaria dal carcere di Potenza a quello di Milano. L'agente era stato precedentemente trasferito da Milano a Potenza per accudire un familiare disabile ma, dopo la dipartita del congiunto svantaggiato, stante la ritenuta mancanza delle condizioni legittimanti da parte del ministero, veniva nuovamente richiamato nel capoluogo lombardo.









Il fatto 

Nell'Agosto 2013 il Ministero di Giustizia, Dipartimento dell'Amministrazione Pentenziaria, disponeva il trasferimento di un poliziotto penitenziario dalla Casa Circondariale di Milano "San Vittore" alla consorella di Potenza per assistere alle cure di un familiare disabile.
Nell'Agosto 2014, in seguito alla dipartita del familiare disabile, l'agente si recava all'ufficio del personale dandone prontamente notizia.
A stretto giro giungeva provvedimento di revoca da parte del Ministero.
Il Dap riteneva che fossero venute meno le condizioni di permanenza dell'agente presso la struttura lucana e che l'agente dovesse far rientro alla circondariale lombarda.

Il ricorso al Tar della Lombardia
L'agente, in seguito alla notifica del provvedimento ministeriale, ricorreva ai giudici amministrativi per l'annullamento del citato provvedimento.
Il poliziotto sosteneva che il trasferimento dalla sede lombarda alla sede lucana era a titolo definitivo. In particolare, l'agente, richiamandosi alla disposizione di cui all'art. 33, comma 5, della Legge 104 del 1992, riteneva che l'eventuale esecuzione del provvedimento dava luogo ad un vero e proprio nuovo trasferimento, da motivare in ragione dell'interesse pubblico e non per il venire meno del presupposto che ne aveva determinato il primo provvedimento (la necessità di assistenza di un familiare disabile).

La decisione del Tar  
I giudici amministrativi lombardi, in accoglimento delle  doglianze dell'agente di polizia penitenziaria,  hanno annullato il provvedimento ministeriale.
I magistrati del Tar, richiamandosi all'iniziale nota di trasferimento (quella dell'Agosto 2013), hanno sancito che essa, al proprio interno, non recava alcuna condizione risolutiva.
Pertanto, trattasi di situazione non modificabile salvo che, qualora ne sussistano i presupposti e secondo il regime del proprio rapporto di lavoro, l'amministrazione provveda a ritrasferire il dipendente d'ufficio.


© Micene Alta Formazione





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TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA, SEZIONE TERZA, SENTENZA N. 1609 DEL 26 AGOSTO 2016

Pubblicato il 26/08/2016
N. 01609/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01449/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1449 del 2015, proposto da:
Michele Pellettieri, rappresentato e difeso dagli avvocati Giampaolo Brienza e Lucia Colangelo, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR in Milano, via Corridoni, n. 39;
contro
Ministero della Giustizia - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio eletto in Milano, via Freguglia, n.1;
Casa Circondariale "Antonio Santoro" di Potenza, in persona del Direttore pro tempore, non costituita;
Casa Circondariale "San Vittore" di Milano, in persona del Direttore pro tempore, non costituita;
per l'annullamento
del decreto del 27 marzo 2015 emesso dal Direttore generale del Personale e della Formazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, notificato in data 7 aprile 2015, con cui si è disposto il trasferimento del ricorrente dalla Casa circondariale "Antonio Serra" di Potenza alla Casa Circondariale "San Vittore" di Milano;
nonchè di tutti gli atti connessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2016 la dott.ssa Valentina Mameli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Il ricorrente, dipendente del Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, con la qualifica di agente scelto del Corpo della polizia Penitenziaria, con l’atto introduttivo del giudizio ha esposto che con provvedimento del 14 agosto 2013, disposto ai sensi dell’art. 33, comma 5, della l. 5 febbraio 1992 n. 104, per la necessità di assistenza di un congiunto disabile, veniva disposto il suo trasferimento dalla casa Circondariale “San Vittore” di Milano alla casa Circondariale di Potenza, con decorrenza 1° ottobre 2013.
Con nota dell’8 ottobre 2014 la Direzione della Casa Circondariale di Potenza comunicava al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria il decesso, avvenuto il 25 agosto 2014, del congiunto disabile che il dipendente assisteva, a seguito della dichiarazione resa tempestivamente dallo stesso dipendente.
Il Direttore generale del Personale e della Formazione, previa comunicazione di avvio del procedimento del 31 ottobre 2014 ed esame delle osservazioni del dipendente del 17 novembre 2014, con decreto del 27 marzo 2015 disponeva la revoca del trasferimento, ritenendo “il venir meno della condizione legittimante la concessione del beneficio del trasferimento ex Legge 104/1992, ovvero dell’avvenuto decesso del congiunto diversamente abile che il dipendente assisteva” nonchè tenuto conto che “la Casa circondariale di Potenza gode di un equilibrio di personale appartenente al ruolo maschile degli agenti-assistenti pari a 98 unità amministrate e 98 unità previste, mentre la Casa circondariale di Milano soffre di una carenza di 5 unità”.
Avverso il decreto di revoca del trasferimento il dipendente proponeva il ricorso indicato in epigrafe, chiedendo l’annullamento del provvedimento, previa tutela cautelare, nonché il risarcimento del danno.
Si costituiva in giudizio il Ministero intimato, resistendo al ricorso e chiedendone il rigetto.
Alla camera di consiglio del 21 luglio 2015, fissata per la trattazione della domanda cautelare, il ricorrente vi rinunciava.
In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti scambiavano memorie difensive insistendo nelle rispettive conclusioni.
Indi, all’udienza pubblica del 12 luglio 2016 la causa veniva chiamata e trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Con un unico articolato motivo di gravame il ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento assunto dall’Amministrazione argomentando che il trasferimento di cui all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992 non sarebbe temporaneo e subordinato alla permanenza della necessità di assistenza che lo ha giustificato, ma definitivo e incondizionato. Ne conseguirebbe che la revoca del trasferimento costituirebbe un nuovo trasferimento d’ufficio e come tale andrebbe motivato in ragione dell’interesse pubblico, e non per il mero venir meno del presupposto che aveva determinato il trasferimento ex L. 104/1992.
L’Amministrazione ha controdedotto che il trasferimento del dipendente disposto per la necessità di assistenza di familiare handicappato in condizioni di gravità non avrebbe carattere definitivo, ma è risolutivamente condizionato al venir meno della situazione di necessità. La disposizione di cui all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992 derogherebbe alla parità di trattamento nei trasferimento a domanda dei pubblici dipendenti al fine di garantire l’assistenza a persona affetta da disabilità grave. Nel caso in cui venga meno il presupposto del trasferimento, che ne costituisce anche la causa, verrebbe meno la giustificazione della deroga.
Ad avviso del Collegio il ricorso è fondato.
In punto di fatto giova rilevare che il provvedimento di trasferimento del 14 agosto 2013 non reca alcuna condizione risolutiva di quanto con lo stesso disposto.
Tale formulazione del provvedimento implica un trasferimento definitivo (Consiglio di Stato, comm. spec. Pubblico impiego, 19 gennaio 1998, n. 394), sia pure sulla base dei presupposti di cui alla legge n. 104/1992.
L’art. 33 della legge n. 104/1992 assicura al familiare lavoratore che assista con continuità un parente disabile entro il terzo grado la possibilità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio. Questa facoltà, corrispondente a un privilegio motivato da ragioni di natura solidaristica e assistenziale, costituisce un titolo di preferenza nella scelta della sede di lavoro e una volta esercitata nella forma del trasferimento costituisce una situazione giuridica definitiva, non subordinata al mantenimento della situazione originaria (sempre che l’Amministrazione di appartenenza non abbia disciplinato specificamente il punto).
Trattasi, pertanto, di situazione non modificabile se non, sussistendone i presupposti e secondo il regime proprio del rapporto d’impiego, applicando il regime del trasferimento d’ufficio che deve tener conto, nell’effettuare il bilanciamento degli interessi, oltre che delle esigenze di servizio anche delle situazioni di famiglia…” (Tar Marche n. 509/2015; Tar Salerno n. 110/2014; Tar Puglia, Lecce, n. 1942/2012).
Va aggiunto che la motivazione circa la carenza di personale della sede di destinazione deve ritenersi recessiva, posto che, da un lato, il presupposto sulla base del quale l’Amministrazione si è determinata è l’aver erroneamente ritenuto non definitivo il trasferimento già disposto, dall’altro l’esigenza determinata dalla scopertura dell’organico è stata colmata in assenza dei necessari presupposti sostanziali e procedurali.
Per le ragioni che precedono il ricorso va accolto e, per l’effetto, va disposto l’annullamento del provvedimento impugnato.
Non può, di contro, trovare accoglimento la domanda risarcitoria, non assistita da sufficienti allegazioni probatorie.
Con tale domanda il ricorrente ha genericamente dichiarato di aver patito disagio psicologico per l’abbandono della madre, unico genitore superstite, e di aver sostenuto spese per le necessarie e frequenti visite, oltre a quelle per vitto e alloggio nella nuova sede di lavoro.
Tali affermazioni tuttavia non sono supportate da alcuna allegazione probatoria a sostegno non solo del quantum del risarcimento richiesto (peraltro neppure quantificato), ma anche dell’an, sia con riferimento al danno patrimoniale sia a quello non patrimoniale.
Va in proposito rammentato che chi agisce in giudizio a tutela di un proprio diritto deve indicare e allegare tutti gli elementi, i dati e i documenti idonei a sostenere le proprie ragioni. Se tali elementi mancano viene meno il fatto costitutivo della domanda e viene impedito al giudice di esaminare il merito del ricorso.
Ciò assume ancora maggiore rilevanza laddove si controverta, come nel caso di specie, su diritti soggettivi, ambito questo non governato dalla regola del principio dispositivo con metodo acquisitivo, bensì dal principio dell'onere della prova ex art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., applicabili, in tal caso, anche al processo amministrativo.
Infatti, la limitazione dell'onere della prova gravante sulla parte che agisce in giudizio, che caratterizza il processo amministrativo, si fonda sulla naturale ineguaglianza delle parti, che connota abitualmente il rapporto amministrativo di natura pubblicistica intercorrente tra la parte privata e la pubblica amministrazione, mentre l'esigenza di un'attenuazione dell'onere probatorio a carico della parte ricorrente viene meno con riguardo alla prova dell'an e del quantum dei danni azionati in via risarcitoria, inerendo in siffatte ipotesi i fatti oggetto di prova alla sfera soggettiva della parte che si assume lesa e trovandosi le relative fonti di prova normalmente nella disponibilità dello stesso soggetto leso (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2011 n. 1672).
Nel caso di specie, come rilevato, la domanda risarcitoria è sostenuta da generiche dichiarazioni, privi di qualunque allegazione probatoria.
Le spese di giudizio, in applicazione del principio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo e sono da distrarsi a favore dei legali dichiaratisi antistatari.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Rigetta la domanda risarcitoria.
Condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in € 4.000,00 (quattromila), oltre oneri fiscali previdenziali e spese generali, da distrarsi a favore degli avvocati antistatari Giampaolo Brienza e Lucia Colangelo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Ugo Di Benedetto, Presidente
Diego Spampinato, Primo Referendario
Valentina Santina Mameli, Primo Referendario, Estensore
 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Valentina Santina Mameli Ugo Di Benedetto
   
IL SEGRETARIO


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