mercoledì 24 agosto 2016

Cassazione, Sezione Quinta Penale: prese a schiaffi la fidanzata, assolto per tenuità del fatto

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Cassazione, Sezione Quinta Penale, con Sentenza n. 34803, udienza del 15 Giugno 2016, pubblicazione del 10 Agosto 2016, intravedendo la possibilità di applicazione del "principio della particolare tenuità del fatto” di cui all'art. 131 bis del codice penale e quindi la possibilità di assolvere l'imputato, ha rinviato gli atti alla Corte di Appello di Catanzaro per l'applicazione del predetto beneficio. 











Il fatto 
La vicenda traeva origina da un uomo calabrese che aveva preso a schiaffi la fidanzata ma, poco dopo, i due avevano fatto pace e si erano anche sposati. 
Il Tribunale di Catanzaro, con Sentenza del 16 dicembre 2010, nonostante la ricomposizione del rapporto sentimentale, condannava l'uomo alla pena di due mesi di reclusione. 
Il fidanzato, attraverso il suo difensore di fiducia, si appellava al verdetto giudici calabresi ritenendo che andasse assolto in virtù dell'art 131 bis del codice penale il quale prevede che “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno”. 
La Corte di Appello di Catanzaro rigettava l'appello e confermava la sentenza di primo grado. 

La pronuncia della Cassazione
La Cassazione, pur ritenendo che prendere a schiaffi la propria fidanzata è un comportamento connotato da un certo disvalore sociale in virtù del sopruso e della prevaricazione di un soggetto forte contro uno debole, ha sancito  che l'attuale normativa consente – per tutti i reati puniti con la pena pecuniaria o con la reclusione fino a cinque anni – di evitare l’applicazione della pena con archiviazione del procedimento.
Per un comportamento del genere – quale uno schiaffo o una forte spinta – non scatta alcuna sanzione penale: il colpevole può ottenere comunque il beneficio della “non applicazione della pena” ai sensi dell'art. 131 bis del codice penale.  

© Micene Alta Formazione

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Corte di Cassazione, Sezione Quinta, Sentenza 34803, udienza del 15 Giugno 2016, pubblicazione del 10 Agosto 2016

SENTENZA sul ricorso proposto da: ROMEO UMBERTO nato il 03/01/1986 a CATANZARO avverso la sentenza del 29/04/2015 della CORTE APPELLO di CATANZARO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA del 15/06/2016, la relazione svolta dalConsigliere FERDINANDO LIGNOLA Udito il Procuratore Generale in persona del STEFANO TOCCI che ha concluso per Uditi difensor Avv.; Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. Stefano Tocci, che ha concluso per l'annullamento con rinvio RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza del 16 dicembre 2010 del Tribunale di Catanzaro, parzialmente riformata dalla Corte territoriale, Romeo Umberto era condannato alla pena di due mesi di reclusione per il reato di violenza privata in danno di Meleca Valentina, previo riconoscimento delle attenuanti generiche prevalenti rispetto all'aggravante dell'uso di un coltello. 2. Propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, avv. Raffaele Fioresta, deducendo carenza di motivazione in ordine alla esplicita richiesta di applicazione dell'articolo 131-bis cod. pen.. Il ricorrente evidenzia, per un verso, che la disciplina dell'istituto, introdotto nell'ordinamento per effetto del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, è certamente applicabile ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della norma; inoltre sottolinea che, nella fattispecie concreta, sussistevano tutte le condizioni per dichiarare il fatto particolarmente tenue, considerata la pena edittale, l'occasionalità dell'episodio, il danno particolarmente esiguo, la riconciliazione tra i due fidanzati (attualmente conviventi a seguito di matrimonio) e la misura della pena inflitta, pari quasi al minimo edittale, a seguito del riconoscimento delle attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso va accolto. La Corte d'appello di Catanzaro, pur in presenza di esplicita richiesta difensiva (della quale dà atto la sentenza nel riportare le conclusioni delle parti) ha omesso di considerare l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 131-bis cod. pen.. 2. Al riguardo occorre considerare che l'art. 131-bis cod. pen. è stato introdotto con l'art. 1, comma 2, d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, e quindi in epoca successiva alla proposizione dell'appello, ma anteriore alla decisione, emessa il 29 aprile 2015 e relativa a fatto commesso il 13 ottobre 2008. Di conseguenza la richiesta, formulata direttamente in udienza, deve essere considerata ammissibile e doveva essere presa in esame dalla Corte territoriale. Sotto il profilo del diritto sostanziale, poi, si è in presenza di una innovazione che disciplina l'esclusione della punibilità e che reca senza dubbio una disciplina più 2 favorevole all'imputato, che trova quindi applicazione retroattiva, ai sensi dell'art. 2, quarto comma, cod. pen. e di ufficio, anche in caso di impugnazione inammissibile, come ritenuto recentemente dalle Sezioni unite, con riferimento all'ipotesi di ricorso per cassazione inammissibile (Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265110). 3. L'espressa richiesta della parte determina perciò un evidente carenza motivazionale della decisione impugnata. L'omissione (con connesso diniego della causa di non punibilità) investe un ambito della decisione rimesso all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito in rapporto ad un istituto, quale quello della particolare tenuità del fatto, scandito da ampia latitudine di autonomia e discrezionalità, avulsa da predeterminati automatismi applicativi. Nondimeno i giudici di secondo grado, a fronte di una esplicita richiesta di verifica sollecitata dall'appellante, avevano obbligo di pronunciarsi. Tanto più quando si osservi, come nel caso di specie, la ricorrenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto e si escluda, nella motivazione della decisione impugnata, la ricorrenza di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto, riguardando la non punibilità soltanto quei comportamenti (non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale. 4. Rileva infatti il Collegio che l'art. 131-bis, comma 1, cod. pen., delinea preliminarmente il suo ambito di applicazione ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena. I criteri di determinazione della pena sono indicati dal comma 4, il quale precisa che non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale. In tale ultimo caso non si tiene conto del giudizio di bilanciamento di cui all'articolo 69. Il comma 5, inoltre, chiarisce che la non punibilità si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante. 4.1 Nel caso di specie la pena prevista per il delitto di cui all'art. 610 cod. pen., non tenendosi conto dell'aggravante di cui al comma 2, è quella della reclusione fino a 4 anni. 4.2 Inoltre i giudici di merito hanno riconosciuto all'imputato le attenuanti 3 generiche, in regime di prevalenza sull'aggravante contestata. 4.3 Dovendosi quindi escludere la palese non riconoscibilità del beneficio, per immanente assenza dei presupposti di legge, costituisce difetto assoluto di motivazione della sentenza la mancata pronuncia del giudice di appello sulla particolare tenuità del fatto, quando nell'atto impugnatorio o nel giudizio sia stata esplicitamente sollecitata una verifica sulla applicabilità del ridetto beneficio. Dagli enunciati rilievi consegue che gli atti vanno rimessi, previo annullamento in parte qua della sentenza impugnata, ai giudici di appello affinché valutino, con giudizio anche di fatto non surrogabile in questa sede, la sussistenza della causa di non punibilità. 4.4 La sentenza impugnata va in conclusione annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro per nuovo esame. Così deciso in Roma, il 15 giugno 2016 Il consigliere estensore residente


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